corso Milano, Facilitazione

Come gestire la diversità in un gruppo? La nostra esperienza.

“E ora come facciamo?”

A marzo ci siamo chiesti come riadattare le nostre attività in presenza a un contesto totalmente diverso. Da quando è teoricamente possibile riprendere le attività, la domanda è se i nostri gruppi di formazione si sentono a proprio agio nel farlo e se sì, come fare in modo che il processo di rincontrarsi sia il più graduale, sicuro e accogliente possibile.

A queste domande non avremmo potuto rispondere da soli, come team organizzatore e formatore: ciascuno di noi ha vissuto un’esperienza parziale della quarantena e dei suoi impatti, che non può certo riflettere quella di tutte le persone partecipanti al corso.

Avremmo corso il rischio di non prendere una decisione informata, ma di basarci solo sulle nostre personali posizioni, limitate dalla nostra visione soggettiva e dai privilegi di cui godiamo riguardo all’età, stato di salute, accesso a internet, situazione abitativa, situazione economica, eccetera.

Per questo, da marzo in poi, la nostra risposta alla pandemia è stata curare il processo di ascolto delle diverse voci, per portare alla luce la diversità di prospettive e poterla rielaborare.

GESTIRE LA DIVERSITÀ IN UN GRUPPO: IDEE CHIAVE

Crediamo che sarà sempre più importante saper gestire situazioni impreviste tenendo conto della diversità di sfaccettature, impatti e bisogni che si generano e arrivare a prendere quindi decisioni realmente informate.

Ma come si fa? Vogliamo condividere alcune idee chiave che, in questi mesi, ci hanno accompagnato nel mettere a punto il processo di ascolto e consultazione con i nostri gruppi.

  • Permettere alla diversità di emergere

    Il primo passo è stato quello di permettere alla diversità di emergere, in tutta la sua profondità e umanità. Quello che abbiamo fatto, per esempio, è stato organizzare dei cerchi di supporto con i nostri gruppi di formazione, spazi di ascolto attivo ed empatico dove ascoltare la diversità di esperienze e prospettive. Abbiamo poi usato sondaggi e questionari per raccogliere disponibilità e feedback rispetto a diverse opzioni, a volte anche in tempi molto rapidi.

    Abbiamo raccolto esperienze davvero diverse, in alcuni casi opposte e apparentemente inconciliabili: chi ha vissuto i mesi a casa come un dono, chi come una costrizione; chi si sentiva a disagio con le restrizioni agli spostamenti e il distanziamento, chi invece al sicuro; c’è chi ha ancora timore a incontrare altre persone e chi non vede l’ora.

    Ascoltando in apertura e sicurezza esperienze diverse dalla propria e potendole riconoscere, si evita di cadere nella trappola di pensare che quello che sto vivendo io sia la stessa esperienza di tutti gli altri – e quindi di prendere decisioni sulla base di una visione parziale e limitata. In effetti, tutte queste esperienze, altrettanto valide, creano quel mosaico che compone la situazione nel suo complesso.
  • Riconoscere, legittimare e valorizzare la diversità.

    Come team promotore occorre essere pronti a recepire, comprendere, accogliere la diversità che è emersa. Questo implica molta consapevolezza e impegno innanzitutto a livello personale e poi come team, per riuscire ad avere uno sguardo più ampio sulla situazione: come ci sentiamo? Di cosa abbiamo bisogno? Quali posizioni facciamo più fatica a riconoscere e qual è il bisogno profondo alla loro base? È un allenamento fondamentale non solo per facilitare, ma in generale per affrontare situazioni complesse con uno sguardo più ampio. Un effetto di questo allenamento è che ci permette di curare la comunicazione con il gruppo da un luogo di maggiore consapevolezza, evitando di marginalizzare quelle voci con cui, spontaneamente, saremmo meno allineati.

    In questa situazione imprevista e incerta, io ho capito a un livello più profondo quanto sia fondamentale – per me – questo tipo di allenamento per facilitare e sostenere la diversità che emerge.
  • Prendersi cura delle persone attraverso la cura del processo.

    Il nostro intento era prenderci cura delle persone, affrontare apertamente gli impatti di una situazione imprevista sul nostro gruppo, non minimizzandoli o cercando di nasconderli sotto il tappeto, cercare modi efficaci e inclusivi di rispondere alla situazione, prestando attenzione al “come” farlo, alla qualità dell’ascolto e del dialogo: questa è la facilitazione nella sua essenza secondo noi. Il processo che abbiamo seguito non è certamente stato perfetto, e con il senno di poi avremmo potuto gestire diversamente vari passaggi. Tuttavia alla radice di tutto questo rimane l’intento di creare un ambiente sicuro, generare una cultura dove le soluzioni a problemi complessi si trovano dopo aver esplorato tutti gli aspetti e le sfaccettature, cercando di ascoltare in modo attivo e cercare cosa c’è dietro una certa posizione, anche se ci sembra scomoda.

LA NOSTRA ESPERIENZA


Tra le persone che partecipano al nostro corso c’è sicuramente stata una diversità anche nelle reazioni e nei vissuti in questo processo. Forse per alcune persone sarà stato il processo migliore possibile, mentre altre avrebbero fatto diversamente. Siamo anche consapevoli che le decisioni che abbiamo preso non hanno soddisfatto la totalità delle preferenze di tutti. In generale, dai feedback che abbiamo ricevuto, ci sembra che aver affrontato questa situazione attraverso un processo di ascolto abbia contribuito a mantenere i legami e la coesione tra le persone anche in un momento difficile, sentendosi parte di un processo condiviso.

La nostra esperienza è anche che usare un approccio di questo tipo nella gestione di una situazione complessa non ha solo impatti a livello di gruppo, ma anche a livello personale: allena la capacità di stare nella diversità sostenendo la tensione che ne deriva con presenza e serenità. Per me personalmente è stato un prezioso momento in cui  comprendere le mie reazioni, con quali voci sento immediatamente più empatia, con quali ho bisogno di fare più sforzo per riuscire ad accoglierle allo stesso modo delle altre.

UNA PROPOSTA DI FORMAZIONE

Secondo noi, imparare a gestire situazioni complesse attraverso la facilitazione è una delle abilità fondamentali del presente e lo sarà altrettanto nel futuro, dovunque come gruppi di persone ci troviamo (o ci troveremo) ad affrontare temi spinosi, scenari incerti e decisioni controverse.

È per questo che, a maggior ragione in un momento storico come quello che stiamo vivendo, desideriamo offrire di nuovo la possibilità di formarsi alle persone che si sentono motivate a farlo, con un corso base a partire da ottobre a Milano.

Nella formazione che proponiamo, la cultura e gli strumenti che abbiamo descritto sono il fondamento della didattica e il nostro approccio è basato su una visione sistemica dei gruppi e della facilitazione. Lavoro interiore, cassetta degli attrezzi e allenamento delle abilità per facilitare sono aspetti trasversali e un pilastro di tutta la formazione, in ognuno degli otto moduli.

Se sei motivat@ a comprendere e affrontare consapevolmente la diversità e la complessità, interiori ed esteriori, saremo felici di fare questo percorso assieme a partire da ottobre. Tutte le informazioni pratiche qui. Ti aspettiamo!

Ringraziamenti

Ringrazio Aua Plaza per essere stato un esempio per me di presenza e cura in questo processo, accompagnandomi a comprendere ancora più a fondo la bellezza e l’importanza di processi di questo tipo.

Facilitazione

Il nostro approccio alla facilitazione

LA FACILITAZIONE

Se sei qui forse saprai già più o meno cos’è la facilitazione, ma in due righe potremmo dire che questo termine racchiude diversi metodi e approcci che aiutano a:

  • comprendere le dinamiche e processi, più o meno visibili, di un gruppo
  • portarne alla luce i bisogni (più) profondi e conoscere meglio la diversità del gruppo
  • accompagnarlo a trovare le strade che tengono conto delle informazioni emerse, e accedere all’intelligenza e saggezza collettiva

La facilitazione si occupa del processo, del come facciamo le cose, e non del contenuto: questo rimane nelle mani del gruppo.

CAMBIAMENTO CULTURALE

Crediamo che questo atteggiamento nei confronti del lavoro di gruppo sia un modo attivo di cambiare la cultura dei gruppi e, di conseguenza, della società: in fondo noi esseri umani facciamo un sacco di cose in gruppo: progetti di ogni tipo, la scuola, la politica, le imprese, il volontariato…

In tutti questi contesti, anche diversissimi tra loro, prevale una cultura che secondo noi è sempre meno adatta alla situazione storica e sociale che stiamo vivendo: collettivamente abbiamo di fronte dei problemi complessi, su cui è fondamentale ascoltare le diverse voci, fare i conti con la complessità e la diversità, sostenere questa tensione affinché possano emergere strade creative e innovative.

Per noi la facilitazione è uno strumento in grado di alimentare una trasformazione culturale e sociale. Ma che tipo di trasformazione? La facilitazione, insieme ad altri approcci, come per esempio la visione sistemica e l’ecologia profonda, fa parte secondo noi di una cultura emergente che vogliamo nutrire.

Cultura prevalente

Cultura emergente

Pensiero lineare, focus sulle parti. Visione sistemica e complessità, focus sulle relazioni e sul tutto.
Competizione, scarsità, individualismo. Collaborazione, abbondanza, interdipendenza.
Potere su (controllo, oppressione). Potere con (collaborazione) – Potere per (empowerment).
Posizioni statiche; l’obiettivo è vincere la posizione opposta. Io vinco – tu perdi. Esplorare con curiosità gli interessi e i bisogni dietro le posizioni. Io vinco – tu vinci.
Linguaggio bellico che colpevolizza e accusa. Dibattito. Comunicazione empatica e onesta. Dialogo.
Focus solo sugli obiettivi. Equilibrio tra relazioni, processo, obiettivi.

COSA SERVE PER FACILITARE

Ci sono tanti stili di facilitazione, tanti metodi e tecniche: l’abilità sta nel saper utilizzare lo strumento giusto al momento giusto.

Ma conoscere le tecniche non basta, secondo noi: occorre anche coltivare attitudini e consapevolezza personali che permettono di ricoprire il ruolo della facilitazione con lucidità e cura.

Vale anche il contrario: la consapevolezza personale da sola può non bastare se mancano gli strumenti adatti: un po’ come cercare di piantare un chiodo nel muro a mani nude.

Per questo crediamo sia importante lavorare su tre aree – ed è quello che facciamo durante il corso:

  • La cassetta degli attrezzi: conoscere strumenti di facilitazione, saper leggere i processi di un gruppo, allenarsi nel ricoprire il ruolo.
  • Lavoro personale: la consapevolezza di sé, dei propri automatismi e limiti è fondamentale per mantenere un ruolo il più possibile neutrale e lucido; una posizione che permette di accompagnare il gruppo, senza farsi trascinare dal suo processo.
  • Abilità o competenze per facilitare: quelle attitudini che permettono di ricoprire il ruolo in modo efficace: dall’ascolto all’umorismo, dalla flessibilità alla pazienza, dalla buona memoria alla presenza.

I 4 SPAZI DELLA FACILITAZIONE

Ma in quali situazioni applicare gli strumenti e le abilità che citavamo prima?
La cornice che risponde a questa domanda e che accompagna tutti i moduli del corso è quella dei 4 spazi della facilitazione (sviluppati da Ulises, J.L. Escorihuela).

Dal ruolo della facilitazione possiamo operare in 4 spazi o contesti, che corrispondono a diversi bisogni o diversi momenti della vita di un gruppo.

  • Struttura, presa di decisioni e governance: riguarda accordi vari, gestione delle riunioni, processi e metodi decisionali, organizzazione, chi decide cosa e come.
  • Gestione emozionale e trasformazione dei conflitti: qui è dove si affrontano le emozioni e anche i temi delicati. È uno spazio che può diventare anche di salute preventiva.
  • Indagine collettiva: per attingere all’intelligenza collettiva del gruppo, esplorare diverse proposte, possibilità, talenti del gruppo e portarli alla luce.
  • Coesione e celebrazione: per onorare quello che facciamo insieme, conoscersi oltre i nostri ruoli e creare una rete di sicurezza e di fiducia che attutisce eventuali scossoni.

I moduli del corso esplorano i diversi spazi e il tipo di facilitazione più adatto a ciascuno di essi. Facilitare un processo decisionale è molto diverso da uno spazio di gestione dei conflitti, per esempio: saranno diversi gli strumenti, le attitudini, gli obiettivi ed è importante sapersi muovere da uno spazio all’altro a seconda del bisogno.

DINAMIZZARE O FACILITARE?

Come dicevamo più sopra, la facilitazione per noi è molto di più di un insieme di tecniche.

Quando applichiamo una tecnica con dei passi prestabiliti, oppure quando proponiamo un esercizio per raggiungere un risultato ben preciso, stiamo dinamizzando un gruppo e in certe situazioni questo è proprio quello che serve.

Ma quando serve capire il processo o esplorare in profondità i vissuti soggettivi su un tema, i bisogni profondi o la diversità presente nel gruppo, allora stiamo facilitando: stiamo accompagnando un processo emergente, portando alla luce parti marginali o addirittura invisibili che però portano informazioni importanti per tutto il gruppo.

In questi casi, raramente possiamo seguire un processo lineare o applicare una tecnica passo passo: si tratta di processi emergenti di cui non possiamo prevedere il risultato. Come facilitatori e facilitatrici, dobbiamo fare i conti con la complessità e navigare l’incertezza.

Soprattutto in questi casi, sono le meta-abilità e il lavoro personale a sostenerci nel ruolo di facilitatori e facilitatrici: il nostro compito è accompagnare questo processo, tenere i confini e la sicurezza del gruppo, mentre accompagniamo le diverse voci e posizioni a esprimersi, costruendo una mappa condivisa di quello che il gruppo sta vivendo e dei suoi bisogni. Solo a questo punto il gruppo potrà trovare i prossimi passi in grado di integrare l’informazione emersa.

FACILITAZIONE O PROBLEM SOLVING?

Facilitare secondo noi significa non avere fretta di risolvere un problema.

Quando un gruppo affronta un problema complesso e controverso, andare direttamente a risolvere rischia di portarlo verso soluzioni frettolose, con il rischio di vedersi ripresentare periodicamente le stesse tensioni o conflitti o di imboccare una strada che non tiene conto di tutti i fattori importanti.

Invece quello che ci proponiamo di fare è andare a esplorare in profondità prima di prendere qualsiasi decisione, prendersi il tempo di capire “cosa c’è sotto”, di esplorare la diversità presente nel gruppo rispetto a un certo tema.

Il “problem solving” diventa “exploring a situation”, il focus passa dal risolvere all’esplorare: quali sono i reali bisogni dietro una posizione? Qual è la diversità di prospettive, che magari rimane nascosta fino a esplodere?

Per fare questo occorre allenamento e preparazione. Occorre essere pronti per sostenere la tensione, saper superare i nostri limiti in primis come facilitatori e facilitatrici, per poter accompagnare il gruppo a esplorare temi complessi o di cui è difficile parlare.

Come dicevamo prima, serve sviluppare e coltivare le attitudini, avere una cassetta degli attrezzi ben fornita, continuare a fare lavoro personale.

IL CORSO ANNUALE

Se è questo l’approccio alla facilitazione che ti interessa approfondire, il corso annuale che proponiamo è quello che fa per te.

Fin dal primo modulo ci inseriamo nella cornice della visione sistemica e del cambiamento di paradigma che abbiamo delineato qui sopra, declinato in particolare nel lavoro di gruppo.

Per questo, partecipare a questo corso richiede una disponibilità anche al lavoro personale e a un apprendimento non solo cognitivo (anche se diamo forti basi teoriche), ma che opera su diversi livelli, coinvolgendo intelligenze multiple.

Per tutte le informazioni sul programma clicca qui, mentre per gli aspetti organizzativi puoi dare un’occhiata a questa pagina.

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